LE CERAMICHE RITORVATE

Fig. 3

La riscoperta dell’antica tradizione ceramica di Anversa degli Abruzzi è un fenomeno piuttosto recente che risale alla fine degli anni ’90 del secolo scorso. In precedenza Anversa era conosciuta come il paese dei pignatari, cioè dei vasai dediti alla produzione di ceramica da fuoco d’uso domestico e popolare, e anche la più recente esperienza della produzione di maiolica, riavviata nell’Ottocento e terminata alla metà del secolo successivo, aveva lasciato un ricordo piuttosto lontano.

Grazie all’uso congiunto di capillari ricerche archivistiche, di indagini archeologiche e ricognizioni topografiche si è invece potuto restituire ad Anversa una ben più gloriosa storia, le cui radici affondano nella stagione rinascimentale con significativi e particolari sviluppi d’Età Barocca.

Nel Cinquecento la produzione ceramica di Anversa, che contava numerose botteghe artigiane distribuite ai margini dell’abitato medievale, era piuttosto diversificata. Da una parte si producevano stoviglie d’uso comune, destinate alle mense del ceto medio dei maggiori centri abitati e delle città dell’Abruzzo centro-meridionale, che nei decori imitavano la più costosa maiolica affermandosi in tal modo come prodotti competitivi rispetto alle altre produzioni ceramiche circolanti.

Dall’altra parte esisteva una produzione ceramica di maggior pregio destinata a committenze di rango elevato. Questa produzione si caratterizzava per l’uso di decorazioni eseguite in rilievo a stampo, una peculiarità che rimanda a pochi altri centri di produzione italiani come ad esempio quello di Deruta in Umbria. Non a caso uno dei primi oggetti che è stato possibile attribuire alla produzione cinquecentesca di Anversa è un bacile da versatore in precedenza ritenuto di fabbricazione derutese conservato presso il Museo Regionale della Ceramica di Deruta.

Alcuni maestri ceramisti anversani nella seconda metà del Cinquecento ottennero importanti commissioni anche nel settore delle ceramiche da rivestimento d’uso architettonico, piastrelle in maiolica anch’esse decorate a rilievo oppure semplicemente dipinte.

Fra questi si possono menzionare mastro Bernardino Gentili e mastro Pietro Troilo (anche noto come Pietro d’Anversa) che fra 1568 e 1572 furono attivi nel grande cantiere voluto dal cardinale Ippolito II d’Este per la costruzione di Villa d’Este a Tivoli sotto la direzione degli architetti Pirro Ligorio e Tommaso Ghinucci. Nella residenza estense gli anversani realizzarono le decorazione in mattonelle ceramiche a rilievo del parapetto della Fontana dell’Ovato, della Fontana dei Draghi e quelle dipinte per la pavimentazione della Grotta di Diana.

Sempre a Tivoli i maestri anversani realizzarono alcuni pannelli maiolicati nel cortile interno del palazzo Croce-Mancini situato nel centro cittadino, residenza del vescovo tiburtino Giovan Andrea Croce.

A committenza nobile di rango elevato, la famiglia Piccolomini d’Aragona, rimanda anche la realizzazione del paramento in mattonelle a rilievo per la facciata della chiesa di S.Maria della Grazie a Collarmele che va collocato negli anni ’70 del Cinquecento, opera ricca di simboli araldici che rimandano anche alle famiglie romane degli Orsini e dei Colonna. Di quest’ultima famiglia in particolare si celebra la figura di Marcantonio Colonna probabilmente in riferimento al successo nella celebre battaglia di Lepanto.

Mastro Pietro Troilo è molto probabilmente identificabile con il Pietro d’Anversa che firma un’altra importante opera ceramica, il pavimento in piastrelle maiolicate per la residenza nobiliare della famiglia della Tolfa presso Palma Campania. Questa committenza si ricollega verosimilmente alla parentela esistente fra i della Tolfa conti di San Valentino, feudatari di Palma dal 1551, e Costanza della Tolfa moglie del conte di Anversa Gian Vincenzo Belprato cui era dedicato il monumento funebre un tempo esistente nella chiesa di S.Maria delle Grazie di Anversa.

Nel corso del Seicento continua ad Anversa la produzione di ceramica d’uso comune e di ceramiche di pregio. Fra queste ultime le ricerche hanno permesso di fare luce su una serie di manufatti con caratteristiche molto particolari e uniche nel panorama italiano. Si tratta di piatti e bacili da versatore caratterizzati da decorazione in rilievo ottenuta a stampo con matrici di gesso e ricoperti da semplice vetrina trasparente, recanti emblemi araldici che rimandano alle famiglie napoletane feudatarie di Anversa fra Cinque e Seicento o ad esse collegate.

Nel 2005 si è potuto attribuire ad Anversa, ed in particolare alla manifattura della famiglia Ranalli, due distinte serie di manufatti attualmente sparsi in importanti musei italiani e stranieri. Un gruppo di piatti recanti nel centro lo stemma composito pertinente alle famiglie Belprato, di Capua e di Capua del Balzo e quello con uno stemma recante leone rampante riferibile alla famiglia Caracciolo. Il primo gruppo si riferisce al matrimonio celebrato nel 1629 fra i feudatari di Anversa, Don Andrea Francesco di Capua e Donna Giulia di Capua del Balzo. Appartengono a questa serie i pezzi conservati a Napoli (coll.privata), Londra (Victoria & Albert Museum), Boston (Fine Arts Museum), Hannover (Kestner Museum) e San Paolo del Brasile (Museu de Arte).

Il secondo gruppo, collocabile negli anni ’30-’40 del Seicento, si riferisce alla committenza di Don Michele Caracciolo dei marchesi di Gioiosa, cugino di Donna Giulia. I piatti pertinenti tale gruppo sono conservati a Roma (Museo di Palazzo Venezia), Napoli (Istituto Statale d’Arte), Londra (British Museum), Oxford (Ashmolean Museum)

Relativamente tale secondo gruppo del “servizio Caracciolo”, al momento formato da sette piatti, si sono recentemente acquisite importanti novità grazie alla conferma della presenza di decorazione in oro applicata con la tecnica “a terzo fuoco”. Le analisi di laboratorio hanno confermato che la sottile decorazione dorata visibile ad occhio nudo è costituita da oro di buon grado di purezza.

L’uso di questa preziosa tecnica su di un apparato già di per sé molto particolare come quello a rilievo costituisce un elemento di grande interesse e peculiarità. La datazione ben circoscrivibile del servizio permette altresì di collocare puntualmente tale produzione nel più ampio contesto regionale inserendosi a giusto titolo fra le più alte espressioni dell’arte ceramica abruzzese. La produzione dorata anversana risulta pressoché contemporanea a quella castellana (Francesco Grue) e si colloca dunque in un contesto regionale di rilievo rispetto alle altre esperienze italiane contemporanee, in una fase precoce di quella tecnica che a Castelli trovò grande fortuna nell’istoriato della bottega Grue nel pieno ed inoltrato Seicento.

Alla metà del XVII secolo si assiste ad una profonda trasformazione della produzione ceramica. La più generale congiuntura economica negativa, il ripiegamento della nobiltà feudataria ed il concorso di significative calamità naturali che si legano ad un trend demografico negativo, portano al definitivo esaurirsi di una felice stagione artistica lunga più di un secolo. Alcune famiglie di vasai si estinguono, altre emigrano in cerca di nuovi sbocchi lavorativi e diverse manifatture spengono le loro fornaci. Le manifatture ceramiche ripiegano nella sola ceramica invetriata da fuoco e d’uso domestico che nel Settecento diventa l’unica produzione anversana.

Nella prima metà dell’Ottocento si documenta infine la reintroduzione della maiolica ad opera di alcune botteghe che sfornano oggetti di largo consumo destinati ai ceti medio-bassi (piatti, bacili, bottiglie, etc) con decori popolari, esperienza produttiva che andrà tuttavia ad esaurirsi nel secondo dopoguerra con la chiusura dell’ultima manifattura ubicata all’ingresso di via delle Fornaci.

Van Verrocchio

Per i numerosi contributi dell’autore consultabili on-line si rimanda al seguente link: http://independent.academia.edu/VanVerrocchio.

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