IL TRIONFO della MORTE

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di GABRIELE d’ANNUNZIO

E’ il terzo romanzo dannunziano del Ciclo della Rosa, dopo il Piacere e l’Innocente ( composto in sole due settimane).

Il progetto nasce nel luglio del 1889, ma l’evoluzione segue un percorso lento, faticoso e accidentato, con sospensioni, riprese, rimaneggiamenti del nucleo iniziale e un travagliato esercizio del pensiero critico nell’arco di 5 anni.

D’Annunzio ha già in mente  il titolo di “Agonia”, in riferimento alla tormentosa relazione amorosa  dell’ipotizzato  protagonista.

Successivamente, pensa di cambiarlo in “La nemica”, identificabile nella bellicosa principessa Maria Gravina  Cruyllas di Ramacca, la nuova donna entrata frattanto nella sua vita; e infine ne “L’Invincibile”, riferito alla protagonista.

Solo nel 1893 viene fuori il titolo  di Trionfo della Morte.

D’Annunzio si propone di ritirarsi  a Francavilla, nel convento-cenacolo messogli a disposizione dal pittore Francesco Paolo Michetti, fraterno amico e mentore.

Vuole farne un capolavoro da dedicare proprio a Lui.

Nel ritiro di Francavilla, però, non riesce a concentrarsi lontano dalla sua bella Barbara, amante e Musa, che è rimasta a Roma. Gli sembra di impazzire senza averla accanto. Gli è indispensabile per placare la sua isteria e tener vivi i sensi e la fantasia.

Michetti non può ospitarli tutti e due. Comprensivo e soccorrevole come sempre, gli procura un eremo ideale di pace sulla costa di S. Vito Chietino, nota per l’aria buona e l’amenità dei luoghi.

Gli amanti vi passano una indimenticabile estate in una totale, struggente, reciproca donazione. Un’esperienza che fu riversata a piene mani nel progettato romanzo l’Invincibile, in cui entra S. Vito, con i suoi luoghi, il suo mare, la su gente.

Da S. Vito tiene i contatti con l’editore Treves, al quale scrive il 29 luglio 1889:

“ Caro mio editore, ricevo ora la vostra cartolina, qui a S. Vito;

dove mi trovo a capolavorare. Terminerò qui, in S. Vito, l’Invincibile. Vi manderò il manoscritto ai primi di ottobre. Combineremo allora tutto il resto amicamente….

Sono qui a S. Vito, sul mare, da pochi giorni. Questa è la causa del mio indugio…

Vi stringo la mano.      Gabriele d’Annunzio”

Ma non avrebbe mai potuto scriverla, la sua opera, in quei due mesi di fuoco, tra fatiche amorose e impegni vari. E, di fatto, non ne scrive neppure una riga.

A S. Vito ne organizza  trama e fabula, ne delinea i criteri tecnico stilistici, fa utili esplorazioni, raccoglie appunti e farà dei ritorni necessari per le sue descrizioni.

Al termine del soggiorno sanvitese, lo scrittore si trasferisce, di nuovo da solo, nell’ovattato convento di Francavilla, deciso a lavorare sodo intorno al suo romanzo, anche per cercare di rispettare i numerosi impegni presi.

Ma la chiamata alle armi per il servizio di leva, che aveva rimandato fino ad allora; la causa intentatagli dalla moglie per il mantenimento dei figli; i problemi per il patrimonio familiare che il padre donnaiolo manda a rotoli; l’assillo degli immancabili debiti, lo distolgono ancora dalla sua opera.

Torna a pensarci nel settembre 1892, ma ci rimette seriamente mano solo agli inizi del 1893, lavorandoci ancora per un anno e mezzo.

Riallaccia le relazioni con l’editore Treves e compare Il Trionfo della Morte.

“Caro don Emilio,

Il Trionfo della Morte è considerato da me come un romanzo nuovo, un’opera sostanzialmente  diversa dal frammento antico. Mi sono servito di alcuni studi fatti per l’Invincibile, opera abbandonata. Non era possibile in fatti che io pubblicassi un romanzo concepito cinque anni fa, dopo la rapida e grave evoluzione del mio spirito. Considero quindi morte quelle trattative che posso avere iniziato con voi  anni fa, in proposito, perl’Invincibile… al vostro cenno, spedirò le 500 cartelle delTrionfo-le altre prima che marzo finisca.

Gabriele d’Annunzio”

Lo completò ai primi di aprile del 1894. Il romanzo ebbe per titolo il Trionfo della morte e non più l’Invincibile; ebbe un numero di pagine quasi doppio, articolate in sei parti, anziché quattro.

Iniziato a 26 anni, quando aveva accanto la bruna romana Elvira Fraternali Leoni(Barbara) e terminato a 31, quando Barbarella era stata sostituita nella vita (ma non nel romanzo) da Moriccica, la corvina principessa sicula Maria Gravina Cruyllas di Ramacca Anguissola.

Il nuovo romanzo raccoglie consensi, soprattutto in Francia, dove viene tradotto e pubblicato nella prestigiosa Revue des deux mondes. Riceve lusinghieri apprezzamenti dal severo critico Brunetière ed è oggetto di una conferenza all’università della Sorbona da parte dell’autorevole critico René Doumic, che lo considera “ un veritable poème (…) drame profondement humaine (…) un chef-d’oeuvre (…) que le commun des lecteurs ne peut guère gouter; mais un chef-d’oeuvre (…)

Arrivano richieste di traduzioni in altre lingue.

La chiesa cattolica si affretta a inserirlo nell’indice dei libri proibiti, corruttori della morale.

Un libro ricucito, in cui i critici riconoscono la stratificazione di stesure  e una certa disomogeneità nello stile e nell’impianto narrativo, ma che l’autore tiene a mostrare come un ragionato “ideal libro di prosa narrativa e descrittiva moderna”, come si legge nell’ampia dedica di apertura a Michetti:

“Vi è soprattutto, il proposito di fare opera di bellezza e di poesia, prosa plastica e sinfonica, ricca di immagini e di musiche. Rappresentare gli stati d’animo più complicati e più rari. Concorrere efficacemente a costituire in Italia la prosa narrativa e descrittiva moderna: ecco la mia ambizione più tenace. Durante un lustro io ho portato in me questa prosa per arricchirla e addensarla. Ci sono le immagini della gioia e del dolore della nostra gente, sotto il cielo pregato con selvaggia fede”

L’opera è ricca di simboli, di accuratissime descrizioni, di sofisticati ragionamenti, di digressioni cariche di travaglio speculativo, di inserzioni rievocative, di sequenze critico-dialogiche  e di sottili analisi psicologiche inseguite con scientifica oggettività, al limite di un trattato di psichiatria. Il Pensiero-istinto della morte l’attraversa ossessivamente dall’inizio alla fine, insieme alla visione degradata, decadente della umanità, senza possibilità di rimedio, tipica della letteratura dell’800.  

Un libro non di semplice evasione, che pone complesse tematiche; tutto ancora da scoprire e certamente fondamentale nel quadro della narrativa dello scrittore e in quella europea.  D’Annunzio, per la prima ed unica volta, vi espone la sua posizione critica sull’uso  della lingua nella prosa, non solo sul piano lessicale.

Vi dominano l’Abruzzo, la madre Maiella, la sua terra, il suo Adriatico, la sua gente nel vivo contesto antropologico.

Protagonisti immaginari del racconto sono i due amanti Giorgio Aurispa e Ippolita Sanzio; ma la loro st Leoni (Barbara- Barbarella) vissero nell’estate del 1889 alle Portelle di S. Vito Chietino.

Terzo reale e palpitante protagonista è lo scenario della splendida e vergine NATURA di  S. Vito, con l’Eremo, il promontorio dei Sogni, Il trabocco di Turchino, il mare nei suoi mutevoli aspetti, il suggestivo e vario paesaggio, i panorami, la campagna con le ginestre e gli aranceti, i fiori, i ruscelli, gli abitanti del posto con le loro occupazioni, abitudini, credenze e superstizioni.

Giorgio, abulico e distaccato aristocratico, condizionato da pesanti tare ereditarie , è toccato solo da pensieri negativi; coltiva impossibili aspirazioni di perfezione; non riesce a gestire la sua vita,   nemmeno il suo tempo libero; non trova pace neppure nell’amore, anzi  è schiavo di un’ossessiva gelosia. Vorrebbe possedere pienamente anima e corpo la  sua donna, ma sente che è lei a dominarlo, a portarlo alla perdizione con il suo amore voluttuoso; pur  seducente quando gli è vicina con le sue carezze, gli  resta sempre lontana e inaccessibile, come la complessa Natura, esaltante e temibile insieme, di cui ella è parte integrante.

Solo la morte può trionfare su di lei e sui suoi tormenti.

Distruggere, dunque, è il supremo atto di liberazione e di libertà.

E’ la tesi conclusiva del romanzo, che vede i due amanti precipitare dalla rupe del Promontorio avvinti nel mortale abbraccio di un omicidio-suicidio.

Alberto di Giovanni

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