Dobbiamo tutti imparare a pensare che la “res” pubblica appartiene a tutti noi e che tutti dobbiamo partecipare a preservarla. È questo il giusto spirito per avere uno Stato moderno e che sia all’altezza di una società che continua a crescere nei numeri dei suoi cittadini che, a loro volta, chiedono sempre più servizi.
L’antefatto. “Zona periferica di una città; una città qualsiasi come tante di provincia. Un’area a confine con uno spazio sportivo che è sempre sembrata un parcheggio, oltre tutto in stato di degrado, a servizio del confinante palazzetto dello sport, ma che si scopre essere, in realtà, una piazza intitolata a una persona dal cognome noto. Nel cartello, indicante il nome della piazza, si leggono anche due date, tra le quali intercorre un lasso di tempo di circa 70 anni, sicuramente quella di nascita e quella di morte della persona a cui la piazza è stata intitolata, e che dal cognome la si può ricollegare ad una famiglia che, negli anni passati, gestiva una discreta attività imprenditoriale. Per diversi anni uno dei tanti fiori all’occhiello dell’economia locale. Al di là di chiunque fosse, è stata certamente una persona che ha rivestito per il tessuto cittadino una certa rilevanza, da qui la volontà di intestarle la toponomastica. E’ cosa giusta che un Comune onori un cittadino che ha dato lustro alla città, in qualsiasi campo ciò sia accaduto, lavorativo, umanitario, culturale. Una stonatura, tuttavia, è percettibile nella situazione che si presenta agli occhi del cittadino, o del forestiero di passaggio. La piazza, in questione, che il buon senso non porterebbe a considerare tale – ciò almeno fino alla scoperta, appunto, della targa – versa in uno stato di totale abbandono: cordoli rotti, calcinacci ovunque, erbacce nate dai pertugi formatisi nel manto stradale, nessun arredo urbano. Lo stato di degrado che pervade quello spazio pubblico assurto all’onore di piazza è percepibile in ogni angolo lo sguardo si fermi, anche per un solo istante e distrattamente”.
Fatto. Inutile dire che questa piazza, come tante purtroppo ce ne sono sull’intero territorio nazionale, è l’emblema della desolazione in cui la maggior parte delle città, specie quelle di provincia del centro sud, ma anche molte del nord, ormai versano come conseguenza dell’imperante crisi economica che ci affligge da oltre un decennio, senza parlare dell’effetto Covid-19. Fattori preceduti, purtroppo, da politiche miopi che non hanno saputo, quando i soldi c’erano, o si credeva ci fossero, curare e sviluppare gli spazi pubblici, carta d’identità di una comunità, luoghi della collettività, dove essa si ritrova, e biglietto da visita per chi vi transita. Tuttavia, sarebbe cosa buona e giusta se gli eredi del cittadino benemerito curassero, in vece delle istituzioni incapaci, o impossibilitate, quello spazio pubblico che, intitolato all’avo, si è voluto pubblicamente onorare. Non si può dalle istituzioni solo pretendere. Ci sono dei diritti, che tutti noi vantiamo, ma anche degli obblighi da onorare nei confronti, in primis, della comunità dove viviamo. Non possiamo solo e continuamente lamentarci dei vincoli, laccioli e della inefficienza della burocrazia, senza cooperare per il suo miglioramento. Non possiamo lamentarci, giustamente, delle troppe tasse pagate senza la giusta contropartita di servizi offerti, quando non si è capaci, a parte inverse, di contraccambiare. È giusto che un Comune renda omaggio a un suo cittadino che per il territorio e la sua comunità ha fatto del bene intitolandogli una piazza, una strada, un monumento, ma è altrettanto doveroso che i suoi eredi contraccambino aiutando, lì dove l’Ente territoriale non riesce, nel mantenere in ordine e presentabile il luogo pubblico assurto agli onori della famiglia. Se paghiamo le tasse pretendiamo che lo stato ci fornisca servizi, strade in buono stato di manutenzione, belle scuole, ospedali all’avanguardia. Stessa cosa deve valere a parti inverse. Se viene dedicato ad un parente defunto uno spazio pubblico dobbiamo, quando il pubblico non riesce, provvedere noi al suo mantenimento. Se vogliamo meno invasione del pubblico nelle nostre vite, meno burocrazia, dobbiamo assumerci l’onere di intervenire lì ove lo Stato non riesce. Dobbiamo tutti imparare a pensare che la “res” pubblica appartiene a tutti noi e che tutti dobbiamo partecipare a preservarla. È questo il giusto spirito per avere uno Stato moderno e che sia all’altezza di una società che continua a crescere nei numeri dei suoi cittadini che, a loro volta, chiedono sempre più servizi. Dobbiamo imparare tutti a essere mecenati, solo così possiamo pretendere di avere uno Stato moderno che riesca a soddisfare le esigenze di tutti. C’è bisogno di una presa di coscienza culturale in questo senso, altrimenti non potremo né lamentarci né pretendere.